La nuova sede ATAC in zona Torrino – Castellaccio

In questo articolo analizzeremo la vicenda della nuove sede ATAC, mai inaugurata, in zona Torrino – Castellaccio presso l’Europarco.

Il palazzo che avrebbe dovuto ospitare la nuova sede ATAC in viale Giorgio Ribotta, 35 tra le torri Eurosky ed Europarco

La vicenda della nuova sede ATAC al Torrino iniziò tra il 2005 e il 2006. In quel periodo il comune di Roma autorizzò ATAC, allora agenzia della mobilità, ad acquistare un edificio nel costruendo Europarco in zona Torrino per adibirlo a “Palazzo Unico della Mobilità”. L’obiettivo era quello di ridurre i costi sostenuti per la locazione delle sedi aziendali (allora ATAC aveva sede presso il Centro direzionale Argonauta di via Ostiense, 113/L). L’effettivo iter per l’acquisto partì solo nel 2009 con l’autorizzazione da parte del consiglio comunale (delibera n° 36 del 30 marzo 2009) visto, probabilmente, l’inizio dei lavori per la realizzazione dell’immobile.

L’azienda stipulò quindi il 31 luglio 2009 un contratto per l’acquisto del palazzo con la società BNP Paribas Real Estate Investment Management SGR per un costo totale di 118,3 milioni di euro (118.274.000 per la precisione). Alla firma del contratto ATAC versò una caparra pari a 20,1 milioni di euro (20.106.580 di euro) e le due parti fissarono la data di ultimazione dei lavori a 27 mesi (due anni e tre mesi) a decorrere dalla data di sottoscrizione. Tre anni dopo, il 28 giugno 2012, l’immobile non era stato ancora completato e pertanto le due parti si riunirono nuovamente; si scelse di risolvere il contratto firmato nel 2009 e di firmare un nuovo accordo; secondo quest’ultimo ATAC avrebbe avuto in concessione a locazione l’immobile per nove anni (rinnovabili) e la caparra sarebbe stata tramutata in acconto dei primi canoni di locazione. La data di conclusione dei lavori fu fissata prima al 31 dicembre 2015 e poi al 30 giugno 2016.

A partire da settembre 2016, visto il non completamento dell’edificio, ATAC iniziò ad applicare le penali giornaliere previste dal contratto, che sarebbero potute arrivare fino alla risoluzione dello stesso se la situazione si fosse protratta per oltre sei mesi. Si arrivò così al 12 gennaio 2017, data in cui ATAC annunciò alla controparte l’intenzione di avvalersi della clausola per la risoluzione del contratto. Nel settembre dello stesso anno la società, dal canto suo, contestò questa soluzione invitando ATAC a prendere in consegna l’immobile a partire dal 15 settembre (con un anno e mezzo di ritardo rispetto a quanto pattuito) e sostenendo il proprio diritto a trattenere la caparra come anticipo dei primi canoni di locazione nonché come risarcimento danni. ATAC si rivolse quindi a dei legali esterni con l’obiettivo di riottenere la caparra (20,1 milioni) nonché le penali applicate previste dal contratto (circa 8,5 milioni). Il 19 marzo 2018 ATAC, convinta che il contratto stipulato con BNP fosse stato risolto, si rivolse a Reale Mutua Assicurazioni per escutere la polizza rilasciata a garanzia. BNP conseguentemente si rivolse al Tribunale di Roma, che inibì il rilascio dell’importo e condannò ATAC al pagamento delle spese legali. Quest’ultima presentò un ricorso presso il medesimo tribunale, che fu respinto. BNP si rivolse inoltre al Tribunale amministrativo regionale (TAR) del Lazio per contestare la “dichiarazione di inefficacia del deposito dell’attestazione di agibilità dell’immobile” da parte del Dipartimento programmazione ed attuazione urbanistica (PAU) di Roma Capitale. Il TAR diede ragione alla ricorrente condannando Roma Capitale alla rifusione e al pagamento delle spese di lite.

A seguito di questi eventi ATAC il 22 marzo 2019 scelse di accordarsi nuovamente con BNP Paribas REIM SGR per superare il contenzioso. Secondo l’accordo stipulato tra le due parti BNP avrebbe pagato un importo di 9 milioni di euro ad ATAC, suddiviso in tre tranche (una da 6,5 milioni e due da 1,5 milioni), trattenendo i rimanenti 11,1 milioni.

Questa vicenda è passata sotto la lente della Corte dei conti che con il procedimento I/00787/2016 ha stimato un danno erariale di oltre 15 milioni di euro e ha chiamato a rispondere di ciò i vari amministratori che si sono succeduti alla guida dell’azienda nel periodo incriminato. In dettaglio i magistrati contabili hanno contestato l’utilizzo dello strumento di “compravendita di cosa futura”, in quanto quest’ultimo andrebbe applicato solo in casi eccezionali, e hanno sottolineato come le decisioni intraprese dai dirigenti dell’azienda siano state “del tutto avulse da una concreta valutazione di economicità dell’operazione”.

Per quanto riguarda il futuro dell’edificio poco si sa. Il cantiere sembra esser stato riaperto il 29 luglio 2021 per procedere ad un “intervento di manutenzione straordinaria pesante” ad opera della società Silver Fir Capital SGR, gestore del fondo U-Turn di BNP Paribas Real Estate Investment Management SGR.

Fonti

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